Un percorso tra due generazioni per riconoscere la diversità come un valore. Per la stagione teatrale del Feronia, domenica 26 gennaio, alle 20.45, va in scena La madre di Eva dal romanzo di Silvia Ferreri, adattamento e regia di Stefania Rocca, consulenza artistica Luciano Melchionna, musiche Luca Maria Baldini, con Stefania Rocca, Bryan Ceotto e Simon Sisti Ajmone. Le luci portano la firma del nostro concittadino Francesco Vignati, ormai un’autorità in questo settore del mondo dello spettacolo.
La madre di Eva racconta la storia, toccante e contemporanea, di una madre che parla a sua figlia – lei l’ha sempre considerata una femmina – in una clinica di Belgrado, mentre al di là del muro stanno preparando la sala operatoria e i dottori tracciano linee verdi sul corpo nudo di Alessandro, per permettergli di realizzare, finalmente, il suo desiderio: “Prima dei miei diciotto anni voglio sottopormi all’intervento che mi renderà quello che sono davvero: un uomo”.
“Con questo spettacolo – spiega Stefania Rocca – voglio raccontare il forte contrasto generazionale e le tematiche transgender dal punto di vista di chi ne è fisicamente coinvolto e anche di chi, in quanto genitore, sente il dovere di proteggere “la sua creatura”, con il timore delle discriminazioni che la società spesso riserva a coloro che perseguono un percorso di transizione.
Per Alessandro la transizione è un percorso che modifica il corpo, non l’identità. Lui è nato uomo. Non c’è un prima e un dopo. Per la madre, condizionata da un pregiudizio ancestrale, la transizione è un calvario ingiustificato oltre a essere un insulto al “frutto del suo seno”. Non è una donna bigotta ma ha paura. Paura che sua figlia soffra troppo, paura che venga giudicata, paura che la vita per lei possa essere più difficile. L’amore e l’ansia di essere una madre perfetta, la portano a guardare da un’unica prospettiva, la sua, fino a quando lei stessa non sarà in grado di comprendere e abbattere quel muro di solitudine che le ha divise, fino al momento in cui entrambe rinasceranno.
Attraverso lei, vorrei si aprisse per il pubblico una finestra in più sull’identità di genere, che porti lo spettatore ad immedesimarsi emotivamente in entrambi i personaggi. Penso che tanti genitori e tant* figl* che stanno affrontando un percorso analogo, grazie alla visione di questo spettacolo potranno sentirsi meno soli”.