“Ha 2 anni e non parla, devo preoccuparmi?”
Questa è la domanda che molti genitori e nonni si pongono continuamente, spesso confrontando i bambini tra loro. Alcuni iniziano a formare frasi complete molto presto, mentre altri tendono a “prendersela con calma”. Ma quando un ritardo è semplicemente una variazione dello sviluppo e quando, invece, dovresti consultare uno specialista?
Linguaggio: un traguardo precoce
Il linguaggio non nasce dal nulla; è il prodotto di un lungo processo di sviluppo che inizia nei nostri primi mesi di vita. Nel giro di poche settimane, i neonati iniziano a girarsi verso la voce della mamma e del papà e riconoscono altri suoni familiari, iniziando a tentare i loro primi suoni vocali. Dai 6 ai 9 mesi, emergono le prime lallazioni (“ba-ba” “ma-ma”) che aprono la strada alle prime parole, attese generalmente intorno ai 12 mesi. Con ogni bambino i tempi variano, ma ci sono alcuni traguardi da tenere a mente:
· 12 mesi: compaiono le prime parole (da 0 a 10 parole). Si tratta di parole legate a persone e oggetti familiari o ad attività rituali. Sono tipicamente poche parole semplici (“mamma”, “papà”, “bau”), spesso accompagnate da un gesto.
· 18 mesi: il vocabolario si arricchisce e in media il bambino produce tra 10 e 50 parole (con grande variabilità individuale), e ne ha una comprensione di 200-300. Non c’è un “numero” esatto, ma l’importante è che il bambino usi le parole per comunicare e che, nel frattempo, la comprensione continui a crescere. In realtà, i bambini capiscono più di quanto lascino intendere e, anche se dicono poco, ascoltano il discorso e lo elaborano.
· 24 mesi: il bambino dovrebbe esprimere almeno 50 parole. Alcuni ne hanno molte di più arrivando anche a 100-200 parole, altri restano un po’ indietro, ma l’importante è che ci sia una crescita. Intorno a questo periodo iniziano anche le prime combinazioni di due parole per formare frasi semplici e brevi, come ‘mamma vieni’ o ‘pappa buona’. Queste sono le prime forme di linguaggio telegrafico; sono primitive, ma essenziali, poiché segnano l’inizio della costruzione delle frasi.
· 36 mesi: il linguaggio è più strutturato, fino a 200-500 parole attive con frasi di 3-4 parole (ad esempio, “io voglio biscotto” o “mamma leggi libro”). Non usano più solo nomi e verbi, ma introducono anche articoli (‘la palla’), pronomi (‘io’, ‘mio’), plurali e i primi verbi coniugati. Il linguaggio è ora comprensibile anche agli estranei, anche se alcuni suoni possono ancora mancare, come /s/ e /r/, ma è del tutto normale. A questo punto, il linguaggio non è più solo uno strumento per ottenere, ma diventa un vero mezzo per relazionarsi con il mondo.
Variabilità sì, ma con attenzione
Vale anche la pena ricordare che ogni bambino è diverso e ha i suoi tempi: ci sono i “chiacchieroni” precoci e chi, invece, preferisce osservare più a lungo prima di lanciarsi. Alcuni mostrano questa differenza in modo più evidente: comprendono bene le parole e le richieste degli adulti, ma producono pochissime parole. Altri iniziano a parlare molto presto, anche se la loro comprensione non è necessariamente più avanzata di quella dei loro coetanei. Questa variabilità è naturale, purché il bambino mostri interesse per la comunicazione, usi gesti per comunicare e faccia progressi, anche lenti ma costanti.
I campanelli d’allarme
È importante tener presente che il modello delineato è una guida indicativa dello sviluppo tipico del linguaggio. Può consentire ai genitori di monitorare la maturazione linguistica del proprio bambino senza preoccuparsi troppo di qualche piccola differenza. Allo stesso tempo, è consigliabile non trascurare alcuni campanelli d’allarme che potrebbero suggerire la necessità di un consulto logopedico:
· assenza di lallazione dopo i 12 mesi;
· scarsa intenzionalità comunicativa, come l’assenza del gesto deittico (ad esempio, indicare con il dito) dopo i 16 mesi;
· assenza di parole a 18 mesi;
· vocabolario inferiore alle 50 parole a 24 mesi;
· assenza di combinazioni di due parole per comporre le prime frasi a 24-30 mesi;
· problemi di comprensione del linguaggio (ad esempio, non seguire istruzioni semplici come “dammi la palla”).
Tali segni sono indicativi di ciò che viene chiamato ritardo del linguaggio (“parlatore tardivo”) che potrebbe rientrare spontaneamente entro i 36 mesi. Se tali indicatori precoci persistono oltre i 36 mesi, si può cominciare a parlare di Disturbo Primario del Linguaggio, la cui diagnosi può essere effettuata esclusivamente da uno specialista. Tuttavia, alcuni bambini, detti late bloomers (“a fioritura tardiva”), possono iniziare a recuperare un po’ più tardi, fino ai 40 mesi, senza sviluppare un disturbo vero e proprio.
Se si riconoscono alcuni dei segni menzionati in precedenza nel proprio bambino, è bene rivolgersi al pediatra, segnalando la situazione. Il medico potrebbe raccomandare una valutazione da parte di un logopedista. Voglio ricordare ai genitori che i segnali di avvertimento del linguaggio non devono allarmare. Il fatto che siano presenti non implica che il bambino svilupperà un disturbo: con ogni probabilità, segnalano solo la necessità di un monitoraggio più accurato dell’evoluzione dello sviluppo infantile. Un ritardo può infatti rientrare spontaneamente, soprattutto nei cosiddetti parlatori tardivi. Un consulto precoce non vuol dire che ci sia un problema grave, ma è un’opportunità per fare chiarezza, rassicurarsi e fornire al bambino il supporto di cui ha bisogno in quel momento.
Il ruolo del logopedista
Quando un bambino viene portato in valutazione per un ritardo del linguaggio, il lavoro del logopedista inizia sempre con un’osservazione attenta. Non riguarda solo se produce parole, ma anche come comunica: usa gesti? indica? guarda negli occhi? capisce le richieste dell’adulto? La prima valutazione comprende un colloquio con i genitori, la raccolta della storia linguistica e familiare e, se necessario, test standardizzati. Questo ci aiuta a determinare se il parlatore tardivo è destinato a recuperare da solo oppure se la situazione richiede un intervento. La logopedia non è una “lezione di parole”, ma è un percorso su misura, che avviene quasi sempre attraverso il gioco. Nella stanza di terapia può sembrare che si stia semplicemente giocando con pupazzi, libri o pentoline, ma in realtà ogni attività è pensata per stimolare specifiche abilità:
– arricchire il vocabolario,
– promuovere la combinazione di parole,
– rafforzare la comprensione,
– aumentare la fiducia del bambino nel comunicare.
Il logopedista coinvolge attivamente soprattutto i genitori, condividendo strategie pratiche che possono attuare nella quotidianità, come leggere un libro insieme, denominare oggetti che vengono utilizzati nelle routine, aspettare che il bambino risponda senza completare la sua frase. In questo modo, la terapia non rimane solo nello studio del logopedista, ma è con il bambino a casa, a scuola e in tutti i suoi contesti di vita.
Quando non si tratta più di un semplice ritardo ma di un vero disturbo del linguaggio (dopo i 36 mesi), il percorso logopedico diventa più strutturato e continuativo. In queste situazioni, dopo una valutazione approfondita con test specifici, il logopedista stabilisce un progetto riabilitativo personalizzato, adattato alle difficoltà e alle risorse del bambino. Il trattamento differisce a seconda del profilo linguistico del paziente e può includere:
– stimolazione fonologica, esercizi mirati al rafforzamento della produzione di suoni e alla minimizzazione delle semplificazioni;
– espansione lessicale, giochi e attività divertenti per l’arricchimento del vocabolario;
– supporto morfosintattico, strategie per incoraggiare la produzione di frasi più accurate e complete;
– potenziamento della comprensione del linguaggio, esercizi e giochi per comprendere frasi più complesse;
– incremento di capacità narrative e comunicative, esercizi divertenti per stimolare la capacità di raccontare storie, fare domande e sostenere le conversazioni.
La terapia rimane divertente e incoraggiante, ma gli obiettivi sono specifici e monitorati nel tempo. Qualsiasi tipo di progresso, anche il minimo, viene condiviso con la famiglia, che costituisce una parte essenziale del percorso: i genitori imparano a supportare la comunicazione del bambino a casa e a consolidare i traguardi raggiunti. Inoltre, il percorso della logopedia non è mai un percorso solitario, ma incontra gli altri professionisti già presenti nel contesto del bambino, come pediatri, insegnanti e, possibilmente, altri specialisti (neuropsichiatra infantile, psicologo, terapista della neuropsicomotricità), creando una rete intorno al bambino e promuovendo un percorso coerente e condiviso.
Cosa possono fare i genitori, giorno dopo giorno?
La buona notizia è che non servono strumenti particolari per stimolare il linguaggio: la vita è ricca di preziose opportunità. Descrivere ad alta voce ciò che state facendo mentre preparate la cena (“Taglio la mela”, “ora verso l’acqua”) fornisce al bambino nuove parole da ascoltare e associare alle azioni. Durante una passeggiata, quando il bambino si ferma a guardare un cane, un fiore, un’auto rossa, fermatevi con lui e rendete quel momento un gioco linguistico. Leggere insieme diventa poi un grande alleato: aprire insieme un libro illustrato e sfogliarlo con calma, anche solo indicando le figure, e aspettare che il bambino intervenga spontaneamente (anche tramite un gesto o un suono) è tra le attività più semplici e potenti. Il bambino non ha bisogno di dire molto; piuttosto, la cosa vitale è che ascolti la voce dell’adulto che narra la storia e viva quel momento come uno scambio. Anche il gioco simbolico, come usare una cucina giocattolo o prendersi cura di una bambola, segna l’avvento delle prime frasi spontanee. In quei momenti i bambini non trovano un “dovere” parlare, piuttosto lo fanno con piacere tra le loro fantasie.
Un altro aspetto riguarda la tecnologia: tablet e televisione possono sembrare utili, ma non sostituiscono la profondità della discussione faccia a faccia. Non si tratta di cancellarli del tutto, ma di trovare un equilibrio e far sì che restino strumenti marginali e controllati; una storia condivisa mentre ci si guarda negli occhi sarà sempre più preziosa di un cartone animato guardato in solitaria. Ma il segreto è semplice: dare tempo, spazio e parole al bambino, con pazienza e curiosità. È così che il linguaggio si forma e si sviluppa in questi piccoli gesti quotidiani. Il consiglio più importante, tuttavia, è non lasciarsi sopraffare dall’ansia del confronto; ogni bambino ha il proprio ritmo di crescita. Tuttavia, quando si hanno dubbi, consultare uno specialista è l’approccio giusto, in modo da poter affrontare la situazione con serenità. Il linguaggio è la porta per le relazioni, il pensiero e il mondo; aiutare i bambini a svilupparlo significa offrire loro uno strumento prezioso per crescere. E in questo viaggio, la logopedia può essere una bussola che guida famiglie e piccoli con delicatezza e competenza.
Maddalena Leonesi
La dottoressa Maddalena Leonesi, logopedista, laureata presso l’Università degli Studi di Perugia. Si occupa della valutazione e del trattamento dei disturbi del linguaggio e dell’apprendimento (DSA), della rieducazione delle difficoltà articolatorie e fonetiche e del supporto ai bambini con difficoltà comunicative. Ha maturato esperienza nella valutazione funzionale, nell’elaborazione di piani riabilitativi personalizzati e nella realizzazione di interventi individualizzati mirati al potenziamento delle abilità linguistiche e comunicative. Esercita la propria attività presso il centro medico Fisiomed di Tolentino (tel. 0733 969718) oppure a domicilio, garantendo un approccio attento e flessibile.
Per contatti e informazioni: tel. 327 8192497, email: leonesimaddalena@gmail.com
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