Home | Cultura | “Il partigiano Johnny” tra letteratura e cinema
Euro Net San Severino Marche
Il partigiano Johnny
Il partigiano Johnny

“Il partigiano Johnny” tra letteratura e cinema

«Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l’avrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo com’è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana. E nel momento in cui partì si sentì investito – nor death itself would have been divestiture – in nome dell’autentico popolo d’Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell’uso legittimo che ne avrebbe fatto»[1]. Questo è uno dei passaggi più noti del libro di Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny. Testo postumo, denso e non completo: l’autore non è mai riuscito a terminare la revisione dell’opera, la morte è sopraggiunta prima. Uscito nel 1968, è un libro che racconta e reinterpreta l’esperienza della Resistenza vissuta da Fenoglio stesso, all’epoca giovane studente universitario. Nel 2000, Guido Chiesa ne ha realizzato una trasposizione cinematografica, con Stefano Dionisi nei panni del protagonista. Un film impregnato da una forte vena documentaristica, asciutto, diretto nella narrazione: netto, come tagliente è la vicenda vissuta da Johnny, giovane coinvolto in un evento più grande di lui, dal quale non può fuggire. Non ci sono tante alternative dopo l’Otto settembre: o ci si schiera con i nazifascisti, o si tenta la via della Resistenza (o si cerca di rimanere nell’ombra). Johnny, studente di letteratura inglese, intollerante nei confronti del fascismo, è stufo di nascondersi in collina, immerso dai testi: studia molto, come Ernesto Rossi in prigionia vede soltanto «Libri, libri e solo libri»[2]. Parte «verso le somme colline», «in un mare di dubbi», motivato da un profondo antifascismo: indipendente dal comunismo, un «Robin Hood», come lo definisce il suo professore (comunista) Cocito. Johnny è un giovane che desidera giustizia e libertà, con sicurezza e azzardo, come solo a venti anni si può fare. Il film di Chiesa non può, per ragioni di tempo e di spazio, riportare fedelmente la corposità descrittiva del romanzo, quindi vira sulle sensazioni, ricreando un’atmosfera tanto concreta quanto evocativa: i paesaggi grigi ed i silenzi sostituiscono le molte parole del libro, donando allo spettatore l’efficace evocazione dei sentimenti e dei dubbi del giovane. Il partigiano Johnny è il cammino di una presa di coscienza nei confronti di un mondo al bivio: o ci si schiera con la vecchia e compromessa realtà, o si tenta la nuova, irta e dubbia strada del cambiamento. Bisogna scegliere, la parte che dispiace di meno, ma scegliere: così il protagonista ammonisce un suo amico qualunquista, uno che sa soltanto criticare tanto i partigiani quanto i fascisti. Johnny, antifascista dal fazzoletto azzurro, un autonomo badogliano, è quasi un monaco, per quanto è zelante nel dedicare tutte le sue energie alla causa che ha sposato: si sacrifica per una libertà ancora indefinibile, ma necessaria. Pur trovandosi in una brigata partigiana, Johnny vive in un mondo dove è ormai raro scorgere un amico: egli è solo dal principio alla fine, unito agli altri solo nella lotta comune. Il ragazzo, come un suo ufficiale, vuole fare dell’Italia «una cosa piccola, ma seria»: un ideale, un progetto non ancora delineato, ma in cantiere. Il suo carattere altalena tra il fremito giovanile e la pazienza del traduttore: come traduce i testi dall’inglese, così, con la lotta partigiana, cerca di tradurre in azione la necessità di cambiamento dell’Italia. Ma quanto è cambiato il Paese dal famoso 25 aprile? Paradossalmente, molto e poco al contempo: una storia di passi in avanti e giravolte all’indietro. C’è stata, per un attimo fulmineo, l’Italia del governo Parri (Partito d’Azione, erede della rosselliana Giustizia e Libertà): quel brevissimo esecutivo post conflitto che aveva in progetto una serie di radicali cambiamenti, ma tutto è affondato prima che tali mutamenti attecchissero. E da lì, da questa ennesima Italia perduta, ancora sopravvive la distinzione in “luigini” (i parassiti ed approfittatori) e “contadini” (la classe trasversale di gente attiva e sincera), tanto ben evidenziata da Carlo Levi ne L’Orologio. A venti anni dal film, a cinquantadue dal libro, a settantacinque dalla Liberazione, l’Italia è ancora il paese non pienamente realizzato, la terra delle poche scelte azzeccate e delle tante occasioni mancate, popolata da pochi Johnny, pochi contadini e molti luigini.

Silvio Gobbi

Note
[1] Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Roma, La Biblioteca di Repubblica, 2003, p. 49.
[2] Marco Bresciani, Quale antifascismo? Storia di Giustizia e Libertà, Roma, Carocci Editore, 2017, p. 245.

Centro Medico Blu Gallery