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Richard Jewell
Richard Jewell

La recensione del film “Richard Jewell” di Clint Eastwood

Richard Jewell è un giovane che aspira al mestiere di poliziotto: il suo obiettivo è quello di proteggere la gente e di far rispettare la legge. È il tipico statunitense patriottico della Georgia: amante delle armi, zelante nei confronti delle autorità, un po’ sempliciotto, ma non stupido. Richard ricopre, nel tempo, vari incarichi nella sicurezza: prima vice sceriffo, poi guardia in un campus universitario, ed infine agente di sicurezza per la AT&T. Nel luglio del 1996, lavorando nella sicurezza in occasione delle Olimpiadi di Atlanta, scopre una bomba al Centennial Olympic Park ed evita così una strage, facendo evacuare la zona un attimo prima dell’esplosione: un morto sul colpo, uno in seguito per infarto, e 111 feriti (se il ragazzo non si fosse accorto dell’ordigno, le conseguenze sarebbero state di gran lunga peggiori). Richard è considerato un eroe, ma lui non si definisce tale: sostiene di aver fatto soltanto il proprio lavoro e ringrazia continuamente tutti gli altri colleghi che lo hanno aiutato nello sgomberare il luogo. Ma la gloria dura poco. Dopo neanche tre giorni, un agente dell’FBI fa trapelare alla stampa che Jewell è sospettato di essere l’attentatore, ma non ci sono prove, soltanto delle supposizioni inconsistenti. Richard Jewell si trova a vivere una situazione assurda e viene dipinto, ingiustamente, come un mostro: da una parte c’è l’FBI che vuole incastrarlo a tutti i costi, dall’altra la stampa che manipola l’opinione pubblica dipingendo il giovane come un assassino. Jewell è innocente, lo sanno la madre e l’avvocato difensore, ma dovrà aspettare l’ottobre del 1996 per essere del tutto scagionato. Il vero terrorista verrà catturato nel 2003: l’integralista cristiano Eric Rudolph.
Richard Jewell di Clint Eastwood è una pellicola diretta e potente: l’obiettivo del regista è quello di descrivere, in maniera chiara, l’ingiusto calvario subito da una persona che ha semplicemente fatto bene il proprio lavoro. Jewell (interpretato da Paul Walter Hauser) è “colpevole” soltanto di essere stato serio nel proprio mestiere e di aver creduto troppo nella sincerità delle istituzioni. Richard ama la divisa, l’FBI, ed ogni cosa attinente al governo degli USA, ma si è trovato contro dei federali ottusi e la stampa infima, quella pronta a tutto pur di dare la notizia scoop. Secca, fredda e feroce è la critica del regista al governo ed ai media: Eastwood, notoriamente vicino all’ala più libertaria del partito repubblicano, decide di non nascondere la polvere sotto al tappeto e colpisce il pubblico con questa autentica storia di sciacallaggio ed abbandono. Le ottime interpretazioni dei protagonisti, (specialmente Kathy Bates nel ruolo della madre di Richard, Bobi Jewell), danno un ulteriore tocco positivo a questo forte film dal ritmo calzante. Una pellicola attuale: ad oggi, il sensazionalismo mediatico è presente in maniera crescente. Tanto negli USA quanto in Italia, e probabilmente in ogni parte del globo, il mestiere della stampa segue, spesso, il paradigma «sbatti il mostro in prima pagina», come ci insegnò Bellocchio negli anni Settanta. L’importante è trovare il capro espiatorio, non è necessario che sia comprovato. Dato che i federali spargono per primi delle voci infondate, figuriamoci la stampa: tanto la vita annientata non è la loro, ma è dello sfortunato di turno. Federali (istituzioni) negligenti e stampa rapace: una combinazione capace di rovinare chiunque. Richard Jewell sottolinea quanto le fake news siano devastanti, antiche e, al tempo stesso, attuali: dai grandi quotidiani ai giornali online che puntano ai click ed alle visualizzazioni, non alla qualità ed alla veridicità degli eventi narrati, tutta l’informazione rischia di cedere alle falsità pur di avere la “notizia”. Infine, Clint Eastwood ci porta a formulare la seguente domanda: quanti altri Richard Jewell dovranno esserci prima di porre un freno alla pervasiva mistificazione informativa?

Silvio Gobbi

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