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Il cinema San Paolo

Nuovo Cinema San Paolo inaugurato con “La belle époque”

Giovedì 19 dicembre, alle ore 20.30, è stato inaugurato il nuovo Cinema San Paolo, dopo tre anni di chiusura per via del terremoto. La struttura, ora rinforzata, rinnovata e ripulita, ricomincerà a proiettare in città le nuove uscite cinematografiche: finalmente riparte la programmazione. Alla cerimonia di inaugurazione hanno partecipato: il direttore del Cinema, Alberto Vignati; l’ingegnere Federico Carboni; i membri dell’Acec (Associazione cattolica esercenti cinema) Carmine Imparato, Laura Mandolini e don Gesualdo Purziani; gli assessori del Comune di San Severino Tarcisio Antognozzi e Jacopo Orlandani; il cardinale Edoardo Menichelli per il taglio del nastro e la benedizione. Ogni intervento, pur nelle differenze dei contenuti, ha sottolineato l’importanza del cinema come luogo di spettacolo e di incontro: un ambiente dove si va non soltanto per vedere un film, ma anche per conoscere e creare nuovi legami sociali.

Alberto Vignati ha ricordato la tristezza dei giorni del terremoto, i suoi danni e la conseguente inagibilità del San Paolo: le lungaggini dei lavori sembravano non aver mai fine, ma grazie al sostegno del Comune, della Regione, dell’arcidiocesi, dei volontari che si sono prodigati per la struttura, il recupero è stato possibile. I finanziamenti dell’Ufficio speciale per la ricostruzione delle Marche sono stati fondamentali. Dopo le sintetiche delucidazioni tecniche dell’ingegner Federico Carboni riguardanti il recupero della struttura, sono intervenuti i membri presenti dell’Acec.

I tre hanno ribadito la valenza culturale e sociale del cinema come luogo di aggregazione, di comunità, dove ci si arricchisce come esseri umani. In particolare, Don Gesualdo ha sottolineato la sua lunga attività nell’Acec di Senigallia: un lavoro fatto di programmazione, di burocrazia, ma capace di regalare piacevoli momenti di confronto e scambio. In queste “piccole” sale, si possono vedere film di tutti i generi: dalle commedie ai capolavori d’autore come Il sapore della ciliegia, del maestro iraniano Abbas Kiarostami. Ed i dibattiti che possono nascere sono tali da far riflettere intorno alle grandi questioni dell’esistenza: per questo bisogna togliere alle sale di paese l’etichetta di “luogo per vecchi” e far tornare i giovani, sempre più presi dalle anonime multisale.
Gli assessori comunali Antognozzi e Orlandani si sono felicitati per questa riapertura e hanno sottolineato la vicinanza delle istituzioni al San Paolo, punto fondamentale per la comunità: una realtà da valorizzare, un luogo chiave per famiglie e bambini. In questo contesto è stato ricordato con affetto e gratitudine il professor Giancarlo Gioia Lobbia, una delle storiche figure del “San Paolo”, direttore e volontario appassionato di cinema, simbolo della nostra piccola sala parrocchiale.
Il cardinale Menichelli, oltre al taglio del nastro, ha benedetto la struttura e i presenti, rivolgendo un plauso alla riapertura del cinema: un passo in avanti della ricostruzione, un motivo in più per lasciarci alle spalle il buio periodo del terremoto. Un luogo simbolico per la comunità: in un mondo dove il soggettivismo è sempre più esasperato, dove si è sempre più fortemente isolati, diventa basilare riapprendere l’importanza della partecipazione, perciò è necessario valorizzare luoghi come le sale cinematografiche, capaci di farci mettere da parte il nostro egoismo per entrare in contatto con il prossimo. Il cardinale, ricordando la sua partecipazione (negli anni Sessanta) a un cineforum incentrato sul capolavoro dell’insuperabile Ingmar Bergman Il settimo sigillo (opera densa di grandi temi esistenziali e sempre attuale), ha ribadito come un film possa portare lo spettatore a ragionare sui grandi interrogativi: il cinema è quindi quel luogo capace di stimolare la cultura, la testa, senza compiacere soltanto lo stomaco, come va tanto di moda oggi.
Successivamente, Vignati ha ricevuto un assegno dall’Acec regionale per l’inizio dell’attività del cinema. Dopo questa presentazione, è stato proiettato il film inaugurale del nuovo Cinema San Paolo, La belle époque, la dolce commedia francese di Nicolas Bedos.

Di seguito la recensione dell’opera.

Victor Drumond (Daniel Auteuil) è un fumettista in declino. Licenziato dal giornale per cui lavorava (vignettista di satira politica) si è lasciato andare: non cerca lavoro, è trasandato, non vive i
cambiamenti del mondo (è talmente refrattario che non ha nemmeno un cellulare) ed è in crisi con la moglie, Marianne (Fanny Ardant). Lei è l’opposto del marito: è iperattiva, lavora continuamente, vive la vita pienamente e, stanca dell’apatico marito, gli mette le corna. Il rapporto tra i due è talmente incrinato che si separano. Victor contatta Antoine (Guillaume Canet), un regista-imprenditore specializzato nel “creare epoche per i clienti”. Praticamente Antoine soddisfa le fantasie, nostalgiche e non, dei propri committenti: per esempio, se uno volesse vivere nel tempo del Re Sole, egli ricostruirebbe, con location ed attori, l’epoca richiesta. Antoine, amico d’infanzia del figlio di Victor, prova un profondo affetto per il signore: fu l’unico che lo aiutò, in gioventù, ad uscire da una forte depressione; lo fece sentire come uno di famiglia. Perciò il regista accontenta il fumettista e gli permette di ritornare al tempo da lui richiesto: il 16 maggio 1974, quando incontrò per la prima volta Marianne. All’epoca erano entrambi giovanissimi e pieni di speranze e Victor vuole rievocare quel periodo, per sentirsi nuovamente in vita. L’attrice assunta per interpretare la giovane Marianne è Margot (Doria Tillier), una bellissima ragazza che vive, nella vita reale, una tumultuosa storia d’amore con Antoine. Tra Victor e Margot sboccerà un’affinità che andrà oltre la semplice messa in scena commissionata, scatenando i dubbi di Antoine, mentre, dall’altra parte, la vera Marianne comincerà a sentire sempre di più la mancanza del marito.
La belle époque è una commedia sentimentale, nostalgica e vitale senza essere banale: un’opera alla ricerca del tempo passato e perduto, dal curioso risultato che non scade nel già visto. Bedos realizza una sceneggiatura interessante e ricca nella costruzione e nello sviluppo: personaggi sfaccettati che, tutto sommato, riescono a non scadere troppo nei clichés prevedibili. Daniel Auteuil e Fanny Ardant (icona del cinema) sembrano ritagliati precisamente per quei ruoli: da astiosi e cinici, disinteressati l’uno all’altra, a coppia pronta a ripartire. Un uomo ed una donna capaci di utilizzare la nostalgia della giovinezza per far tornare quella scintilla creduta perduta: Victor e Marianne ricominciano, dopo enormi problemi, il loro viaggio come se fosse il primo giorno, ma con la consapevolezza di ciò che sono stati e degli anni che sono passati. La nostalgia del passato non deve divenire un rifugio per idealizzare “i bei tempi”: ogni epoca è imperfetta, il passato appare più bello soltanto perché si era più giovani e perché il tempo ci fa dimenticare i problemi che si vivevano in quel momento. Questa è la consapevolezza che raggiungono i protagonisti, specialmente Victor: ricordare con piacere ciò che è accaduto, senza affondare nella nostalgia. Già Woody Allen ci ha insegnato, con uno dei suoi migliori e geniali lavori Midnight in Paris (2011), l’inesistenza dell’epoca perfetta, perché ogni nostalgia è il frutto di una idealizzazione esasperata e selettiva. La belle époque ribadisce questo concetto: la bella epoca è quella che viviamo quando siamo consapevoli di ciò che abbiamo e di ciò che abbiamo avuto, di come abbiamo resistito e di ciò che potremmo ancora vivere. I bei tempi sono quelli che viviamo finché siamo in vita, finché siamo coscienti di poter andare avanti e cominciare un nuovo capitolo della nostra esistenza.

Silvio Gobbi

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