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La recensione: “Ad Astra”, il film diretto da James Gray

In un futuro non molto lontano da noi, la Terra è minacciata da una serie di picchi di energia dall’oscura provenienza: probabilmente nascono dal profondo del nostro sistema solare, da Nettuno. La causa è ignota, ma alla SpaceCom (Comando Spaziale Statunitense) credono che il responsabile sia Clifford McBride (Tommy Lee Jones), un astronauta partito circa vent’anni prima dalla Terra, alla ricerca di forme di vita intelligenti nell’Universo, e sparito da diverso tempo: potrebbe essere lui, con la sua navicella, ad inviare quelle potenti onde elettromagnetiche dallo spazio remoto. Viene convocato dal Comando il figlio di Clifford, Roy (Brad Pitt), anch’egli astronauta. Dovrà collaborare con il governo per tentare di entrare in contatto con il padre, vedere se è ancora in vita e cercare di porre fine a questi dannosi picchi di energia. Roy affronterà un lungo viaggio, dalla Terra a Nettuno, inoltrandosi sempre di più in uno spazio buio: farà i conti con l’Universo, con sé stesso, le sue esperienze, ed i suoi fantasmi.

Di film di questo genere, la cinematografia ne è piena: la ricerca di un nuovo pianeta abitabile (Interstellar, Christopher Nolan); l’universo remoto come luogo di nascita dell’uomo nuovo (2001: Odissea nello spazio, Stanley Kubrick); la visione spirituale dello spazio presente in The Tree of Life di Terrence Malick e molte altre pellicole ancora. In Ad Astra di James Gray, il viaggio è mentale e fisico, ma con minori intenti trascendentali: è un cammino, dove fantascienza e narrazione intima si intrecciano a vicenda. Lo sviluppo della storia non è pienamente originale, ma la regia è ben funzionante e gli effetti speciali sono contenuti: Gray realizza una rappresentazione dello spazio senza scadere nell’eccesso di fantasia né nella spettacolarizzazione (se non in alcuni casi). Roy, attraversando solitariamente il sistema solare fino a Nettuno, alla ricerca del padre scomparso da anni ormai, si interroga: va avanti ed indietro nella mente, nei pensieri, ricorda come era suo padre, dubita di lui, della sua bontà. È veramente impazzito nel remoto Nettuno a forza di cercare altre forme di vita intelligente? Davvero le onde elettromagnetiche vengono lanciate da lui per follia? La ricerca di McBride somiglia a Cuore di tenebra (come il regista stesso ha dichiarato) ed è proprio così: si scende nel profondo di questo silenzioso e quasi tetro spazio, alla ricerca di una figura perduta, forse pazza o forse no, attraversando l’Universo, dove noi siamo gli estranei, capaci solo di rovinarne l’equilibrio. La Luna è abitata da umani consumisti, da contrabbandieri sempre in guerra tra loro e Marte è popolato da una piccola comunità sotterranea ed alienata: i nostri difetti, i nostri danni, li trasportiamo ovunque ci spostiamo. E Roy, uomo pragmatico ma non freddo, personaggio pieno di pensieri che tiene per sé, assorbe tutto e coglie quello che accade intorno a lui. Il tragitto percorso gli permette di catalizzare le sue preoccupazioni, le sue osservazioni, fino alla piena maturazione. «Per aspera ad astra», attraverso le asperità, le difficoltà, sino a raggiungere le stelle, i traguardi, dicevano i latini. Roy attraversa le stelle, le supera per rivedere suo padre e tentare di conseguire il suo più importante obiettivo: riconciliarsi con il genitore ed essere così in pace con sé stesso (la più grande mancanza della sua vita).

Silvio Gobbi

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