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La mia seconda volta
La mia seconda volta

Recensione cinematografica: “La mia seconda volta”

Giorgia (Mariachiara Di Mitri) è una studentessa del liceo artistico, abile nella gioielleria: è intraprendente e vuole lasciare il suo paese di provincia. Un giorno, conosce un ragazzo (più grande di lei), dirigente di un’azienda di oreficeria e gioielli. Il giovane nota il talento di Giorgia attraverso i social network, dove la ragazza pubblica costantemente le foto delle proprie creazioni, ed i due cominciano a frequentarsi fino ad infatuarsi. Giorgia non è soltanto giovane e creativa, ma anche un po’ sbadata. Proprio a causa della sua distrazione, rischia di investire Ludovica (Aurora Ruffino), una studentessa fuorisede di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti. Dallo scampato incidente, nasce un’amicizia tra le due. Ludovica è molto simile a Giorgia: è risoluta, una valevole promessa dell’arte. La futura scenografa sta lavorando al progetto di tesi, ed il professore che la segue è Davide (Simone Riccioni), assistente alla cattedra, con il quale c’è un certo attrito. Ma il giovane professore è anche il fratello maggiore di Giorgia e quando egli incontra la sorella con Ludovica, comincia ad apprezzare maggiormente la studentessa: i due si innamorano velocemente. Nel mentre, Giorgia si isola e comincia a passare sempre più tempo con il giovane dirigente, ma una sera si sente male: combina insieme alcol ed ecstasy e finisce in coma (un limbo che fluttua tra pensieri, fantasmi e proiezioni dei propri cari). Davide e Ludovica si gettano in una frenetica ricerca di informazioni riguardanti la folle notte di Giorgia.
Una pasticca, più piccola di un tic tac, ecco quanto basta per non raccontarla più, perdersi nell’oblio e varcare l’aldilà. Questo è ciò che narra La mia seconda volta (girato tra Macerata, Recanati, Civitanova Marche, Montegranaro, Corridonia, Porto Sant’Elpidio e Montegiorgio) diretto da Alberto Gelpi, con attore protagonista e produttore Simone Riccioni, sponsorizzato da Banca Macerata. La pellicola, destinata ai giovani, racconta una triste storia prendendo spunto dalla vera vicenda di Giorgia Benusiglio (salvata in extremis dopo aver ingerito una pasticca di ecstasy). Un film lineare dal fine educativo, diretto, breve e veloce nella costruzione: i personaggi e gli eventi arrivano al dunque come se corressero. Come quando si racconta una storia a cui si tiene molto senza trattenersi, senza fare pause. Perché non servono pause quando si parla della droga, quando si tratta un tema così grave della nostra epoca. Ciò è l’intento peculiare dell’opera: Riccioni e Gelpi hanno voluto realizzare un racconto mirato a sensibilizzare i giovani ai rischi, individuali e collettivi, della droga (giovanissimi, direi, dato quanto ormai si sia drammaticamente abbassata l’età in cui i ragazzi entrano in contatto con le sostanze stupefacenti). Come hanno dichiarato alla presentazione del film presso la Multisala di Piediripa (gremita di spettatori per l’evento), gli autori descrivono tramite questo lungometraggio le possibili conseguenze di certe scelte, ciò che può accadere, come una cosa che facciamo possa non solo decidere della nostra vita, ma anche di tutti coloro che ci stanno intorno. Non essendo individui estranei al mondo che ci circonda, ciò che facciamo a noi stessi si ripercuote anche sugli altri: questo è uno degli aspetti centrali del lavoro. Questa produzione, che ha coinvolto anche il Liceo Artistico di Macerata e l’Accademia di Belle Arti della stessa città (dove sono state girate varie scene), punta a sensibilizzare cercando di abbassare il moralismo, vuole raccontare per far capire, vuol far intendere cosa sia giusto e cosa sbagliato cercando di ridurre la sensazione di lezioncina pedagogica. Perché, quando si tratta di stupefacenti, nessuna pasticca è mai “piccola” o “stupida” e senza conseguenze, perché non è sempre detto che ci sia una seconda volta, una seconda possibilità.

Silvio Gobbi

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