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“Tre volti”: il passato, il presente ed il futuro dell’Iran

Behnaz Jafari, nota attrice, riceve l’accorato video di una ragazza disperata, Marziyeh: la giovane vuole togliersi la vita perché la sua famiglia (residente in un villaggio sperduto dell’Iran) le impedisce di studiare recitazione all’Accademia. La comunità in cui vive è estremamente tradizionalista, nessuno vede di buon occhio la giovane: è sveglia, motivata, e vuole diventare un’attrice (aspirazione indegna per una donna di quelle parti). Ma Behnaz è scaltra, qualcosa non le quadra: pensa che il video sia una messinscena per trascinarla in quel posto sperduto. Il regista Jafar Panahi la accompagna: per loro inizia così un viaggio antropologico nei meandri del profondo Iran, lontano dalle città, dove la tradizione è fortemente radicata. I due si ritrovano in un paese dall’arcaico senso di comunità, dove la religione e la rispettabilità sono più importanti delle aspirazioni individuali. Nel villaggio, l’arte non è ben vista, tanto meno le donne con tali aspirazioni. Nella ricerca, Behnaz e Jafar vengono a conoscenza della presenza nel paesino di un’attrice famosa prima della Rivoluzione di Khomeyni: la figura di questa ignota donna emergerà sempre di più dallo sfondo della storia.
Tre volti (“Miglior sceneggiatura” al Festival di Cannes 2018) è l’ultima opera clandestina di Jafar Panahi (le autorità iraniane gli hanno proibito di girare film, a causa del suo non allineamento alle posizioni di regime). Il regista-prigioniero, senza pedanteria morale, con una regia pulita, d’autore ed efficace, dipinge, partendo da una trama semplice, un affresco ricco di dettagli e sfumature della parte più sperduta dell’Iran. Dopo aver udito le voci della metropoli con Taxi Teheran (2015), egli parte con la sua automobile ed una videocamera per captare i suoni dell’autentica campagna dei villaggi. Insieme all’attrice Behnaz Jafari, si confronta con un mondo pienamente confacente alla rigidità dell’Iran post 1979, pregno di maschilismo e tradizionalismo. Ma la giovane, testarda e motivata Marziyeh vuole uscire da questa gabbia sociale: vuole essere se stessa, come ogni altra ragazza al mondo. Behnaz, dopo la diffidenza iniziale, diventa solidale con la giovane e, inoltre, stringe amicizia con la citata anziana attrice del periodo pre-rivoluzionario: queste tre donne rappresentano i tre volti del titolo, i tre spiriti (o fantasmi) della sua nazione. Jafar Panahi, con queste figure, descrive lo sviluppo dell’Iran nel tempo: il passato, condannato da Khomeyni, figurato dall’anziana attrice esiliata dalla comunità (non si vede mai il suo volto, come se la Rivoluzione avesse completamente cancellato tutto ciò che c’era prima); Behnaz, l’attrice del presente che vive la tensione e le contraddizioni del suo tempo fino all’osso; infine, la giovane Marziyeh, colei che vuole uscire da questo dannato tempo, proiettata in un futuro ancora tutto da scrivere. Panahi, abile regista, sa rendere il silenzio più esauriente di tanti discorsi, le sue immagini parlano per lui. Nel muto finale, dove riprende in lontananza la passeggiata di Behnaz e Marziyeh, udiamo il sussulto speranzoso del maestro iraniano (esule e prigioniero in patria) nel velo bianco indossato dalla giovane: il presente, rammaricato per le sue fitte e inestricabili contraddizioni, cammina affiancato dal bianco augurio del futuro che ancora deve realizzarsi.

Silvio Gobbi

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