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“Uno di famiglia”: dalla “famigghia” non si scappa

Luca (Pietro Sermonti) è un insegnante di dizione: dopo essere stato un attore, ha deciso (o non aveva alternative?) di dedicarsi all’insegnamento della disciplina fondamentale per chiunque voglia intraprendere la carriera d’attore. La situazione non è facile: molti studenti non pagano, ed i soldi in tasca sono quindi contati. Luca convive con la propria ragazza, la bella Regina (Sarah Felberbaum), anche lei in crisi con il suo negozio, strozzato dall’aumento del costo dell’affitto. Ma Luca ha uno studente speciale: è l’aspirante attore Mario (Moise Curia), figlio di un boss calabrese, Peppino Serranò (Nino Frassica). Un giorno l’insegnate salva per un pelo il giovane rampollo Serranò da un malavitoso che voleva investirlo e da quel momento diventa uno di famiglia: i Serranò lo “adottano” per riconoscenza. Il professore comincia a lavorare a tempo pieno per Mario: la paga è lauta e passa molto tempo nella villa mafiosa. Il povero Luca, buono e confuso, finisce sempre di più tra i meandri di quella casata, tra gags e commedia, senza riuscire mai ad andarsene dalla “famigghia”.
Uno di famiglia (di Alessio Maria Federici) è una commedia dove il protagonista rappresenta una figura tipica dei nostri giorni: il quarantenne che non riesce a sbarcare il lunario, anche se formato e competente; uno spiantato con gli spicci contati. Sermonti è avvezzo a questi ruoli: non dimentichiamo il geniale Smetto quando voglio (Sydney Sibilia), dove interpretava il disoccupato antropologo aspirante sfasciacarrozze Andrea De Santis. Per il nostro insegnante di dizione non è facile la forzata convivenza con la famiglia Serranò, la vive con un misto tra piacere e dispiacere: che fare? Dare retta a Regina, mandare a quel paese i malavitosi e non prendere i loro soldi? O continuare a fare il pupazzo innocente e guadagnarci? Già potete immaginare la risposta. La regia non ha grossi virtuosismi, è puramente narrativa e ben costruita per la storia che Federici intende raccontare. Una vicenda in sé originale, gradevole ma non eccezionale, con personaggi già visti che, fortunatamente, non cadono troppo nei loro cliché. In Uno di famiglia il regista vuol prendersi gioco di tutto, vuol farci ridere del precariato, della mafia e della politica. Ci riesce, grazie a buoni attori i quali, tramite le loro performances, salvano la storia rimpiazzando quel mancante mordente narrativo che l’avrebbe resa ottima.

Silvio Gobbi

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