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“A Quiet Passion”: la poesia della solitudine

Fare un film biografico non è mai semplice come può sembrare. Comunemente, si può credere che sia relativamente un gioco: se si è a conoscenza delle vicende della vita di un personaggio, basta una sceneggiatura che metta in ordine i fatti, una cinepresa ed infine un lineare lavoro di montaggio in fase di post-produzione, con l’inserimento di musiche ed effetti ad hoc. Invece non è così: per fare un lavoro originale, occorre lo stesso un grande impegno da parte dell’autore, come in una qualsiasi altra opera di finzione, per evitare di scadere nella retorica e nella scialberia didascalica. Come in ogni altro lungometraggio, se si vuol fare un buon lavoro, bisogna saper essere originali. In molti dei film biografici prodotti, si è spesso preferito narrare la vita di un noto personaggio politico o militare della storia (Alessandro Magno, Gandhi, Hitler, Churchill eccetera). Essendo le vicende biografiche di questi personaggi già di per loro avvincenti, le opere sono quasi sempre risultate dinamiche ed appassionanti. Invece, quando si tratta di rappresentare la vita di autori della letteratura che magari non hanno avuto una storia avventurosa come quella di Hemingway o Kerouac, si rischia di realizzare una pellicola noiosa e sprecata. La protagonista dell’ultimo film di Terence Davies, A Quiet Passion, è Emily Dickinson (interpretata da un’ottima Cynthia Nixon), un esempio di autrice che non ha avuto una vita avvincente, ma caratterizzata da una profonda solitudine e sofferenza (fondamentale per la sua poesia). Il regista ci descrive la vita della poetessa americana (nata nel 1830, morta nel 1886 a causa di un’infezione ai reni) fortemente segnata dalla clausura domestica: un po’ imposta dall’ambiente puritano dell’epoca e del luogo (Amherst, Massachusetts), un po’ voluta dalla donna stessa, estremamente legata alla propria famiglia ed alla propria dimora. Ma, pur restando estremamente lontana dal mondo, Emily riesce lo stesso a viverlo, a viverne la sofferenza, sfogandola attraverso i propri versi, dentro i quali riversa la sua solitudine, la sua visione della morte, il suo senso di passione. Il personaggio raffigurato ha un carattere solitario, moralmente severo e rigido, ma al tempo stesso debole e sofferente per via della solitudine vissuta. Il regista fa sentire la propria mano in questo lavoro: non cede l’intero spazio alla biografia della Dickinson, ma riesce a lasciare la propria impronta d’autore. Grazie ad una regia impeccabile, dalle inquadrature e dai movimenti ben studiati, con una fotografia eccellente (curata da Florian Hoffmeister), Terence Davies dà prova della sua abilità. Magari qualche sequenza può risultare un po’ lunga e leggermente retorica, ma nel complesso, il film funziona bene (anche grazie all’ottima delineazione dei personaggi comprimari: rappresentati in maniera né superficiale né stereotipata). Davies riesce a raggiungere un equilibrio  tra ciò che viene raccontato e come viene raccontato, una sintesi ben congeniata tra storia ed immagini. Nei film biografici, spesso si rischia o di dare troppo spazio alla storia a discapito della tecnica del regista o del contrario, cioè di far emergere troppo la bravura dell’autore trascurando la storia. Invece, A Quiet Passion è un meticoloso lavoro di raccordo tra la biografia della protagonista, la sua produzione poetica e la realizzazione cinematografica. Il regista ci fa partecipi della vita dell’autrice e delle sue poesie, senza mai essere fuori luogo o ridondante. Nel complesso, l’autore è riuscito a raffigurare dettagliatamente questa poetessa americana: una donna che ha fatto della sua solitudine ed emarginazione (coatta e, al tempo stesso, desiderata) la sua camera di riflessione, l’incubatrice di quella poetica isolata ma tenace, di quella “passione silenziosa” che il titolo stesso ci suggerisce.

Silvio Gobbi

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