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Settimio Cambio
Settimio Cambio

Cambio poeta muratore nel 110° anniversario della nascita

Ricorrenze. Settimio Cambio poeta muratore nel 110° anniversario della nascita e nel 20° anniversario della scomparsa

di Alberto Pellegrino

Nel 110° anniversario della nascita e nel 20° della scomparsa è opportuno ricordare la figura e l’opera di Settimio Cambio (1908-1998), un uomo e un poeta carico di sentimenti e di una nobile passione per l’esistenza umana, sempre inquieto di fronte al mistero della vita e della morte, che egli ha costantemente messo a confronto con l’idea di un Dio padre misericordioso. Egli, che ha vissuto diverse esperienze segnate dal dolore di alcune vicende familiari, è stato capace di tradurre i suoi sentimenti personali in un sentimento più universale carico di umanità e di amore verso il creato.
Settimio Cambio ha conosciuto giovanissimo il mondo del lavoro, perché, settimo di nove figli, ha cominciato molto presto a lavorare come apprendista al fianco del padre, per diventare uno stimato muratore e passare poi alle dipendenze del Comune di San Severino Marche come infaticabile e poliedrico capo-tecnico fino al raggiungimento dell’età pensionistica.
Settimio è stato un severo autodidatta, che si è avvicinato con rispetto e umiltà al mondo della letteratura (aveva frequentato la scuola fino alla quarta elementare), partendo dall’apprendimento di quelle regole elementari e fondamentali per esprimere in versi quel mondo poetico che “ruggiva” dentro di lui. Per questo suo ingresso “in punta di piedi” nel mondo della poesia, amava definirsi un poeta muratore che è sempre rimasto legato al suo mondo quotidiano, ma che ha profondamente segnato con la sua presenza e con la sua opera gli ambienti sociali e la vita culturale della nostra città.
Il suo esordio artistico è avvenuto nel 1949 con una raccolta poetica che è stata segnalata al Premio Nazionale Estate Pesarese. Dopo quella prima esperienza, sono stati pubblicati i suoi volumi di poesia Trabocca il mio cuore, 1949; Ho tonfi di memorie, 1950; Dove ogni giorno affondo, 1951; Come un’acqua amara, 1955; Nuvole e pietre (1949-1956), 1975; Tramonto d’Uomo, 1977; Senilità, 1979; Liriche del tempo, 1993; Ultimo canto della mia musa, 1993; Tumulto colmo, 1994; La mia storia di muratore poeta, 1994, che hanno ricevuto diversi riconoscimenti a livello regionale e nazionale.
Nello stesso tempo Cambio ha allacciato una serie di rapporti epistolari con letterati, critici e poeti di rilevanza nazionale come Tullio Colsalvatico, Lionello Fiumi, Mario Gorini, Corrado Govoni, Giuseppe Lipparini e Alvaro Valentini. Giuseppe Ungaretti, in una lettera del 27 marzo 1952, ha scritto a proposito della seconda raccolta poetica di Settimio del 1951: “In ogni pagina di Dove ogni giorno affondo, direi in ogni sillaba la commozione è stata intensa…nessuno, credo, potrà fissare gli occhi sopra quelle parole senza rimanere profondamente preso”. Ha collaborato con le riviste letterarie Il sentiero dell’arte, La Nuova Italia Letteraria, Il Pungolo Verde, La Rupe, La Voce del Centro Esperantista Piceno, ma soprattutto con il settimanale L’Appennino Camerte, dove ha pubblicato poesie e racconti, memorie e note paesaggistiche nelle quali ha sempre rivelato un profondo amore per la sua terra.
Settimio Cambio ha seguito con impegno costante la sua vocazione poetica, “impastando” con la stessa passione calcina e parole in versi profondamente legati alla sua storia di uomo che ha portato sulle spalle in eguale misura il fardello del dolore e il bagaglio delle gioie, che ha vissuto con coraggio e coerenza le varie stagioni della vita con l’anima segnata dai sentimenti e dalle memorie terrene, ma nello stesso tempo protesa verso una dimensione ultraterrena. La poetessa Rosa Berti Sabbieti ha scritto che Cambio usa le parole come “pietre vive” caratterizzate da una forma semplice e da una immediata accessibilità, “che convince e avvince il lettore, che si risolve in un contatto cristallino dell’uomo con la propria vita, il proprio mestiere, la propria sofferenza e la propria conquista”.
La poesia di Cambio si fonda essenzialmente sul tema del tempo modulato come uno spartito che scandisce la vita dell’uomo: il tempo della fanciullezza e della giovinezza, il tempo dell’amore e del dolore, il tempo della senilità, quando l’individuo è costretto a confrontarsi con il mistero della morte (“Beato il fiore, perché non sa / che sarà reciso: / all’uomo è conforto sfuggire / alla conoscenza del colpo / cui la morte fermerà di schianto / come grido di gabbiano”). Vi sono alcuni punti fermi e ricorrenti, ai quali si agganciano le speranze del poeta: una profonda umanità che supera i confini dell’egoismo (“Oggi vorrei avere braccia smisurate / per abbracciare tutto il mondo, / che la strada ho imparato / del benefico pianto e dell’amore”); l’amore per la natura e per il paesaggio circostante, dal quale trae spesso ispirazione e confronto in un dialogo costante con gli alberi, i campi, i fiori e l’amato astro della luna; l’amore per la poesia vissuta come autentica sorgente di vita dalla quale sgorgano i suoi versi (“Che almeno uno di essi / resista al tempo /col mio nome”); una salda fede in Dio (“Signore, io non chiedo nulla / per capriccio / e Tu, che dell’ortiche fai / bionde messi, donami / un nuovo cuore, / magari cuore d’uccellino, / sciogliere in canto / il freddo nodo che mi cova dentro”); il lavoro di muratore concepito secondo una sua quasi mistica sacralità (“Gesù Signore, Gesù Operaio / anch’io come il sacerdote / ti celebro ogni giorno”), consacrato in una quotidiana celebrazione che trova una sua liturgia nella calce, nel mattone, nel martello, nel regolo, nel filo a piombo, che prendono vita nelle sue abili mani.
Non bisogna tuttavia pensare che Cambio sia stato un poeta-naif, perché sa muoversi nel mondo della lirica contemporanea senza tuttavia perdere la sua vena e la sua natura popolare, trovando nello stesso tempo immagini poetiche ricche di umanità.
L’ultima parte della sua produzione letteraria è dedicata alle scadenze che impone lo scorrere inesorabile del tempo, per cui il tema della vecchiaia entra in modo rilevante nelle sue composizioni, non come una scoperta improvvisa ma come la logica maturazione di una consapevolezza sempre presente nell’animo dell’artista, fino ad assumere i connotati del dolore (“L’arco della mi vita / sta per crollare / con tutte le sue pietre di dolori”), i cupi colori del buio angosciante, l’ansia del tempo che si consuma inarrestabile.
I suoi ultimi versi, legati al tempo che sta per finire e all’eternità che incombe, sono stati i tragici compagni di un artista costantemente impegnato nella riflessione sul dolore e sul destino dell’uomo, senza rinunciare tuttavia ai suoi legami con l’umanità e con il divino. Nel poeta non viene meno, infatti, la forza della fede che lo spinge a cercare un approdo nel porto della speranza: “Anima mia, sali nell’alto Cielo / picchia alla celeste porta della / divina luce / forse ti aprirà un angelo dalla chiave d’oro / con le ali aperte / per coprire l’offuscata mia pace. / E ti farà lievitare / come il suo bianco pane dell’amore / Ostia che riluce nel calice d’oro / della lucente felicità…ed io sarò salvo e libero / pronto per il sonno quieto dell’Eternità”.

Gesù ti celebro ogni giorno

Gesù Signore, Gesù operaio,
anch’io come il sacerdote
ti celebro ogni giorno.
Di calce bianca stendo la tovaglia
sopra altare di pietre,
poi col martello
– mia dolce croce –
taglio il mattone
-cotidiano pane-
e l’alzo al cielo
perché Tu lo benedica.

I regoli che metto a perpendicolo
li accende il sole
come bianchi ceri;
il filo a piombo,
che oscilla nella mia mano,
è il turibolo che incensa il mio lavoro.

Il secchiello che dondola
dalla lunga fune
è campana rivolta ai cieli.
Senza clangori canta
il suo osanna. (1949)

Come allodola al rompere della luce

Il vecchio tempo con le sue ore
ha solcato la mia fronte
e con monete – palpiti lievi –
non posso più comprare la speranza.
Però la mia Musa non vorrei
scambiare con una ricchezza:
ché al suo dolce tocco
ogni tristezza dal mio cuore
(senza che io me ne accorga)
dolcemente se ne diparte
e il mio cuore varca
mari e terre, lasciando al tempo
gli oscurati bui del mio duolo
con ansiosi versi di passione,
ché al mio cuore giunge
il vellutato melodioso silenzio.
E quel ch’è agro dolce diventa
al mio giorno:
ché si tramuta in grazia
quel che gli occhi vedono,
sì che lievita il meriggio
come bianco pane.
E come allodola
al rompere della luce
balzo con i miei pensieri
verso le splendenti soglie del cielo,
dove la mia anima si dispiega
come bianca vela
per i sette cieli. (1977)

Notte di stelle

Quando il sole si addormenta
sulla coltre di seta della notte,
si apre il giallo girasole del Cielo,
che si dà aria col ventaglio
rotondo della luna.
E le stelle ridono con le labbra
come lame di cristallo
per ferire l’orgoglio dei vecchi astri
e legarli con catene d’un mare
d’ombre del loro amore fuggito!
…Poi si affaccia la luna
e le lega con i suoi raggi d’oro! (1994)

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