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Il sipario del teatro Feronia
Il teatro Feronia

Storia dello spettacolo: il Feronia celebra 190 anni di vita

di Alberto Pellegrino

Ricorre quest’anno il 190° anniversario della costruzione del Teatro Feronia, una istituzione che ha svolto e svolge un’importante funzione come centro di vita culturale e sociale al servizio della città di San Severino. Nel 1740 un gruppo di notabili aveva già costituito un Condominio teatrale e nel 1740 aveva affidato l’incarico di progettare un edificio teatrale all’architetto Domenico Bianconi di Fano. Nel 1747 era stato inaugurato il Teatro de’ Condomini, una costruzione in legno con una pianta a campana, dotato di platea, tre ordini di palchi e un loggione.
Per il degrado del vecchio edificio e a causa di alcune minacce d’incendio, il Condominio teatrale decise di costruire un nuovo teatro e nel 1823 ne affidò la progettazione al giovane architetto concittadino Ireneo Aleandri (1795-1895), che si sarebbe poi affermato come uno dei maggiori architetti italiani del periodo purista. Il progettista, sfruttando al meglio l’area del vecchio edificio, realizzò un teatro in muratura che può essere considerato un gioiello dell’architettura teatrale marchigiana. L’elegante interno, con pianta a ferro di cavallo, è formato dalla platea, da tre ordini di palchi con 19 palchi per ciascuno ordine, caratterizzati da eleganti balconate a fascia. Il loggione è stato realizzato come un quarto ordine di palchi con caratteristiche simili ai tre ordini inferiori. La volta è resa più leggera da “unghiature” di tipo bibienesco, mentre l’arco scenico è impostato su un ordine gigante di due lesene che racchiudono i palchi di proscenio.
L’intera decorazione pittorica della volta, delle balconate e del sipario fu commissionata al pittore sanseverinate Filippo Bigioli (1798 – 1878), il quale elaborò i bozzetti che furono poi tradotti in pittura dal decoratore Raffaele Fogliardi (Ascoli Piceno 1776-1840 c.) autore di opere neoclassiche ad Ascoli Piceno, Tolentino, San Benedetto del Tronto (Teatro della Concordia), Macerata, Pesaro, Fabriano, Foligno (sipario del Teatro Apollo), Assisi (sipario del Teatro Metastasio), A Sanseverino il Fogliardi, oltre al Teatro Feronia, ha decorato nel Palazzo comunale la Sala degli Stemmi e la Sala dell’Accoglienza (oggi Sala del Consiglio) con scene marine di naiadi e tritoni; a Villa Collio ha realizzato sei dipinti che rappresentano la Sincerità, la Modestia, l’Amicizia, l’Allegrezza, la Pace e la Concordia.
Alcuni intellettuali cittadini, secondo la moda neoclassica, suggerirono il nome di “Teatro Feronia”, rifacendosi a un’antica tradizione secondo la quale nella vallata del fiume Potenza sorgeva un tempio dedicato alla Dea Feronia, una divinità della terra e delle selve, della fertilità e della prosperità, che era onorata in tutta l’Italia centrale e che preferiva “riscuotere incensi e adorazione tra folte boscaglie e sorgenti d’acqua” (Virgilio, Eneide, VII, 800).
La dea Feronia era anche considerata la protettrice degli schiavi, pertanto nel bellissimo sipario, dipinto dal Fogliardi su bozzetto del Bigioli, è rappresentata la sacerdotessa settempedana Camurena Celerina (nome trovato impresso su alcune lapidi di età romana) nell’atto di celebrare la cerimonia di liberazione di uno schivo che siede su un seggio nell’atrio del tempio, mentre la sacerdotessa gli pone sul capo il pileo simbolo della libertà e pronuncia la formula di rito: “Benemeriti servi sèdeant, surgant liberi”. Sulla sinistra sono rappresentati alcuni servi che si preparano a sacrificare un bue in onore della dea e sulla destra è raffigurato il Fiume Potenza sotto forma di divinità come erano soliti fare i Romani per il Fiume Tevere.
Il Teatro fu inaugurato il 31 maggio 1828 e la rivista Teatri Arti Letteratura così descriveva l’evento: “Sabato scorso 19 maggio ebbe luogo l’apertura del nuovo Teatro Feronia. Cittadini e Forestieri. Che con entusiasmo d’impaziente curiosità vi concorsero da ogni parte, riconobbero con soddisfazione, quanto fosse corrispondente alla realtà la vantaggiosa idea che se n’era generalmente concepita. La sua forma viene generata da una curva, la cui magica convergenza gli dona tutte le particolari bellezze della forma circolare, e rende più ammirabile la visuale della Scena perfettamente conservata in ogni punto della sua periferia. La decorazione de’ Palchi, e la gran Volta della Sala trattata conforme, producono un gradevolissimo effetto, che appaga nello stesso l’occhio, e la ragione. Fra le vaghe, ed eleganti Pitture da ricche dorature intarsiate, è degno di osservazione il magnifico Sipario operato maestrevolmente dal chiarissimo Professor Raffaele Fogliardi Ascolano d’invenzione del signor Filippo Bigioli nostro esimio Concittadino, rappresentante un fatto Patrio nel tempio della Dea Feronia, da cui prende nome il novello Edificio…Il particolare merito però di questo Teatro si è che riesce oltremodo sonoro, ed armonico, per cui la musica vi risalta col più sorprendente effetto, (va) all’abilissimo Ingegnere Architetto sig. Ireneo Aleandri ha voluto porre ogni studio per dare un attestato di vero attaccamento ai suoi Concittadini, e una permanente memoria alla Patria” (Bologna, 19 giugno 1828, n. 215, p. 143).
Per la solenne inaugurazione la Delegazione teatrale scelse la Matilde di Shabran, un’opera semiseria di Gioacchino Rossini, composta su libretto di Jacopo Ferretti e rappresentata per la prima volta il 24 febbraio 1821 nel Teatro Apollo di Roma. In essa si racconta la complicata storia di Corradino che gode fama di essere un tiranno spietato, sanguinario e tremendamente misogino. La bellissima Matilde si propone di vincere la sfida di far innamorare il tiranno e dopo diverse avventure e disavventure, riesce nell’impresa sconfigge la sua rivale e ricambiando l’amore per Corradino, affermando alla fine dell’opera che “le femmine son nate per vincere e regnar”.
Il melodramma rimase in scena con diverse repliche fino a metà giugno con grande successo di pubblico, perché la Deputazione teatrale non aveva badato a spese e aveva scritturato un cast composto dall’affermato soprano Giuditta Saglio dell’Accademia Filarmonica di Verona, dal tenore Antonio Rinaldi, dal contralto bolognese Carlotta Mancini e dal basso comico Luigi Cecchini.
La seconda opera in cartellone, che andò in scena dal 19 al 30 giugno 1828, fu l’opera Mosè in Egitto sempre di Gioacchino Rossini, composta su libretto di Andrea Leone Tottola, la quale aveva debutto il 5 marzo 1818 nel Teatro San Carlo di Napoli, poi era stata riscritta nel 1819 con l’aggiunta della celebre preghiera Dal tuo stellato soglio, seguita da una terza versione del 1820. Caduta nel dimenticatoio, l’opera era stata ripresa a Parigi nel 1827 in una nuova versione intitolata Moïse et Pharaon per essere poi tradotta in lingua italiana e presentata in Italia in forma concertistica nel dicembre 1827. Secondo le notizie che è stato possibile reperire, è lecito ritenere che la prima rappresentazione in forma scenica sia stata quella di San Severino Marche del giugno 1828, seguita dalle rappresentazioni nel Teatro Civico di Perugia del febbraio 1829 e nel Teatro Ducale di Parma del maggio 1829. L’opera è incentrata sullo scontro tra il Faraone e Mosè , il quale ottiene finalmente il permesso di condurre il popolo d’Israele fuori dall’Egitto fino alle rive del Mar Rosso che si apre per lasciar passare gli Ebrei e sommergere l’esercito egiziano. In questa vicenda tratta da fonti bibliche s’inserisce la storia del tragico amore tra il principe egiziano Osiride e l’ebrea Elcia.
Questo melodramma fu sempre accolto con grande favore soprattutto per merito del soprano Giuditta Saglio, che nella serata del 28 giugno ebbe uno straordinario successo personale: “Il teatro era rigurgitante di spettatori, e reso ancora più vago da ricca e splendida illuminazione: in mezzo agli unanimi applausi furono alla virtuosa compartire le più onorevoli dimostrazioni con Pioggia d’oro, Ritratti, e Poetiche composizioni sparse in abbondanza. La brava attrice fu richiamata più volte sul palco scenico a ricevere nuovi attestati del giubilo generale” (Teatri Arti Letteratura, Bologna, 17 luglio 1828, n. 219, p. 176).
La serata conclusiva del 30 giugno si trasformò per le due interpreti femminili in un vero e proprio trionfo: “Terminata l’opera, e dopo di essere state onorate le signore Giuditta Saglio prima donna, e Carolina Mancini primo contralto, furono ricevute in magnifico Cocchio Trionfale, e ricondotte alle proprie abitazioni fra lo splendore delle faci, fra gli Armonici concerti della Banda Istrumentale, e fra le reiterate acclamazioni del Popolo” (Teatri Arti Letteratura, Bologna, 17 luglio 1828, n. 219, p. 176). Costumi teatrali d’altri tempi, quando le cantanti d’opera erano acclamate dai loro fans come avviene oggi per le dive della musica leggera o del cinema.

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