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Una delle fotografie di Claudio Scarponi
Una delle fotografie di Claudio Scarponi

“La macchina del tempo. Uomini in via d’estinzione”

di Alberto Pellegrino

Claudio Scarponi, dopo un primo viaggio in Africa dal quale è nato il libro Sguardi d’Etiopia, ritorna nel continente africano per un viaggio conoscitivo fatto insieme al gruppo “Sorrisi per l’Etiopia” di San Severino. In questa occasione ha scelto come meta una delle regioni più sperdute del sud dell’Etiopia per raccogliere una serie di testimonianze fotografiche, dalle quali è stata tratta la mostra antologica La macchina del tempo. Uomini in via d’estinzione, che è stata esposta nella Chiesa della Misericordia e che rimarrà aperta fino a domenica 10 dicembre.
Nel suo primo lavoro Scarponi ha voluto trasmettere un messaggio positivo per ricordare che anche in un paese poverissimo come l’Etiopia è possibile trovare un qualche segno di positività. Per questo si sono scelti dei ritratti per rappresentare in quei volti, in quegli sguardi, in quei sorrisi di donne e di bambini la speranza di guardare verso un futuro migliore, perché in essi era possibile vedere non solo una bellezza esteriore e interiore, anche una loro fierezza e dignità.
In questa mostra Scarponi abbandona il genere del ritratto per realizzare un reportage fotografico di tipo antropologico con lo scopo di raccogliere testimonianze visive su popolazioni e civiltà che corrono il pericolo di estinzione. A 600 chilometri a sud di Adis Abeba si trovano otto parchi nazionali e Scarponi ha fatto una rapida visita ai Parchi di Mago e Omo nati per proteggere le savane, le foreste e le popolazioni che ci vivono. Una particolare importanza assume la Valle dell’Omo che nel 1980 è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Il bacino del fiume Omo ha anche una notevole rilevanza archeologica, perché vi sono stati ritrovati utensili di quarzite e numerosi fossili di ominidi del Pliocene e del Pleistocene, in particolare scheletri appartenenti al genere austrolopithecus e homo risalenti a oltre 2 milioni di anni fa.
Nella valle del fiume Omo la fauna selvatica è diventata molto rara e gli indigeni rimasti, circa 300 mila, vedono minacciata la loro integrità antropologica dall’avanzata di una violenta industrializzazione agricola, la quale costituisce una grave minaccia per queste popolazioni che si dedicano da secoli all’agricoltura e alla pastorizia. Dal 2011 il governo etiope ha iniziato a dare in concessione a imprenditori stranieri enormi appezzamenti di terra fertile che in questo modo è sottratta ai vari gruppi tribali che non possono più praticare la loro agricoltura di sostentamento. Viene meno anche la pastorizia, perché queste aziende, provenienti da vari paesi europei e asiatici, distruggono anche i pascoli per impiantare coltivazioni per la coltivazione della canna da zucchero, cotone, palma da olio, mais per carburanti senza che ne derivi alcun vantaggio diretto per le popolazioni locali. Il progetto statale Kuraz Sugar Projet prevede la deforestazione di 245 mila ettari di territorio compresi molti terreni situati lungo le sponde del fiume Omo, terreni che saranno spianati e irrigati con il prelievo delle acque fluviali, con il conseguente impoverimento di un’altra risorsa naturale rappresentata dalla pesca.
Come in altri casi il cosiddetto “progresso” finirà per andare a scapito dei popoli più deboli della Terra e per questi gruppi etnici l’unica risorsa potrebbe rimanere un turismo di tipo culturale che fosse capace di garantire in questa vasta area geografica un minimo sostentamento economico, il rispetto e la conservazione delle tradizioni e dei costumi locali. Non è possibile ipotizzare, anche in questo caso, se l’esistenza del parco nazionale e la tutela dell’Unesco rappresentino uno strumento sufficiente a proteggere la regione dall’assalto dell’industria turistica consumistica.
Scarponi, con la solita accuratezza tecnica, ha lavorato soprattutto sui piani medi, sui primi e primissimi piani per evidenziare al meglio quei particolari che possono avere una maggiore importanza sotto il profilo antropologico, in modo di comprendere meglio usi e costumi di queste popolazioni. Ha pertanto raffigurato le pitture rituali sui corpi seminudi di uomini e donne che caratterizzano l’appartenenza alle varie tribù, gli abiti dai colori sgargianti, i fantasiosi copricapi adornati con frutta secca e corna di animali, le acconciature femminili dei capelli, le collane a volte di enormi dimensioni e gli altri monili con cui tutti amano acconciarsi (anche se in mano a un uomo spunta talvolta un kalashnikov), i grandi dischi inseriti nel labbro inferiore delle femmine come segno d’appartenenza tribale e di prestigio sociale.

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