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Roberto Taddei al tavolo del video check

Senza confini: Taddei, l’uomo della moviola nel volley

Da scoutman e rilevatore statistico in serie A, con la Lube di Alberto Giuliani due volte campione d’Italia, a tecnico della società Data Project per il sistema del video check nel mondo della pallavolo. Roberto Taddei, settempedano Doc, sta girando l’Italia e l’Europa, fino a spingersi in Asia, per installare computer e telecamere sui principali campi di volley e per impartire istruzioni a chi poi dovrà abitualmente utilizzarli. Lo abbiamo incontrato prima del suo nuovo viaggio di lavoro a Baku, sulle rive del mar Caspio, in Azerbaigian.

Roberto, cominciamo da chi è la Data Projet…

La società ha due sedi: quella commerciale a Bologna, quella operativa (cioè di programmazione) a Salerno. E’ famosa ormai da oltre vent’anni per aver inventato e commercializzato il ‘Data Volley’, un programma per gli scout delle partite di volley che risulta oggi il più utilizzato nel mondo. Da quest’anno ha preso in gestione il sistema del video check”.

Che cos’è il video check?

“Si potrebbe paragonare a una moviola in campo. La pallavolo lo ha adottato in Italia nel 2014, ma solo per il campionato di Superlega maschile. Da quest’anno invece la Data Project lo ha esteso pure al massimo campionato di A1 femminile e al campionato di A2 maschile, per un totale di 46 squadre”.

Come funziona?

“In campo ci sono ben 17 telecamere, dislocate lungo tutto il perimetro del rettangolo di gioco: 8 camere riprendono tutte le righe dei due campi; 6 camere inquadrano le mani dei giocatori al di sopra della rete, per riprendere eventuali tocchi a muro su una schiacciata; 2 camere sono sulla rete per scovare le invasioni di muro. Infine, vi è una telecamera, che si chiama di “scena”, che riprende l’intero campo di gioco dall’alto. Il tutto è gestito da un computer centrale e da due Pc laterali, uno per campo, che comunicano fra loro attraverso cavi lan. Ogni volta che una squadra richiede la verifica del punto, il secondo arbitro e l’arbitro di check visualizzano l’azione in questione guardando le telecamere interessate alla moviola. Ogni camera ha una potenza in registrazione di ben 180 frames al secondo, restituendo immagini ad altissima definizione”.

La società italiana esporta il sistema anche all’estero, giusto?

“La Cev, che organizza la Champions League maschile e femminile, ha adottato da quest’anno l’uso della moviola per tutte le partite. In campo internazionale si chiama Video Challenge. La Data Project ha stretto accordi con la Cev e con molte società partecipanti. Così, ogni settimana, ben 5 team di tecnici viaggiano in Europa per montate e gestire il sistema su ogni partita di Champions. Anch’io faccio parte di questi team e ogni settimana salgo su un aereo per raggiungere, assieme ai colleghi, una delle sedi in cui si disputato le partite”.

In cosa consiste il lavoro?

“Mettere a punto il sistema, almeno 2 giorni prima del match, per poi smontare il tutto il giorno dopo la gara. Sto facendo un’esperienza unica, perché in poco tempo ho visitato luoghi molto diversi tra loro: dalla Repubblica Ceca alla Francia, dall’Azerbaïdjan (nei prossimi 2 mesi sarò nella capitale azera, Baku, per ben 5 volte) al Belgio, fino alla Russia. S’incontrano persone diverse, appartenenti a culture e modi di vivere diversi, tutti però accomunati dalla passione per lo sport e, in particolare, per il volley: un mondo al quale ho sempre appartenuto”.

Dà soddisfazione?

“La soddisfazione maggiore, per me, come italiano, è quella di sentir dire che la tecnologia della ‘Data Project’, azienda italiana, è la migliore in questo momento sul mercato. E di solito sento questo commento dagli arbitri internazionali che usano la nostra moviola e dai dirigenti delle squadre che ci finanziano. In fondo la loro soddisfazione è il nostro primario obiettivo. Personalmente, invece, pur abitando da molti anni a Macerata, ci tengo a presentarmi alle società che ci ospitano come ‘Wolf’ (il mio soprannome) nativo di San Severino Marche! Ecco, anche quando sento che mi rispondono in azero mescolato all’inglese, questo fatto mi fa sentire quasi a casa, a mio agio”.

m. g.

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