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Un ritratto del Governatore Agostino Rivarola
Un ritratto del Governatore Agostino Rivarola

Chi fu Rivarola? Un libro ne svela la personalità

Tra il 1793 e il 1797 al governo di Sanseverino salì un personaggio ligure, Agostino Rivarola. Questo nome risulterà senz’altro, ai più, pressoché ignoto, fatta eccezione per una cerchia ristretta di appassionati del cinema. Per costoro, il nome di Rivarola evocherà forse le fattezze di un grande protagonista della filmografia italiana. Ugo Tognazzi consacrò infatti proprio a questo personaggio un’interpretazione alquanto ispirata: nel capolavoro di Luigi Magni (Nell’anno del Signore), Tognazzi/Rivarola, padrone di Roma, diviene l’emblema dell’intransigenza e del reazionarismo pontificio di fronte alle istanze giacobine e carbonare. Quella, però, fu solo una parte (potremmo dire il capitolo finale) di una vita assai intensa.
Rivarola, nato il 14 marzo del 1758, proveniva da un’illustre famiglia del patriziato genovese, i marchesi Rivarola di Murazzano, che avevano dato alla Superba numerosi diplomatici e uomini di Stato. Il nostro Agostino, figlio cadetto, venne avviato dal padre Negrone alla carriera ecclesiastica: a Roma frequentò il Collegio Clementino, istituto prestigioso, abitualmente riservato ai rampolli dell’aristocrazia cittadina; entrò nella prelatura romana nel gennaio del 1793.
Nello stesso anno, giunse per lui il mandato settempedano. Questo rappresentò la sua prima sfida, il primo momento in cui gli venne affidato un compito di responsabilità all’interno della amministrazione pontifica.
Non erano tempi facili, affatto: sull’Europa intera, e così sulla Penisola, soffiavano impetuosi venti di guerra e di rivoluzione. La tempesta divampata oltralpe nel 1789 aveva disseminato ovunque il giacobinismo; i suoi principi, nemici della religione, viaggiavano sulle gambe dei soldati francesi, e tale era il contagio ideologico che non mancavano, anche nelle cerchie ecclesiastiche, i più fervidi fautori della République.
Rivarola si trovò dunque a governare San Severino in questo turbolento contesto. Ad affiancarlo nel difficile compito troviamo il suo luogotenente, l’avvocato Giovan Battista Collio, appartenente alla prestigiosa famiglia locale.
In questo periodo, Rivarola scrisse numerose lettere, indirizzandole agli amici, al fratello, alla madre. Tali lettere, oggi conservate presso l’archivio della famiglia Rivarola della Società Economica di Chiavari, sono una testimonianza preziosa: vedranno prossimamente la pubblicazione (col patrocinio del Comune) in un volume antologico dal titolo Lettere e carte politiche di Monsignor Rivarola governatore di San Severino e Macerata.
Sono, complessivamente, una sessantina di lettere, che trattano vari argomenti, cui si aggiungono, a conclusione del volume, sette documenti di carattere più prettamente “politico”: appunti, attestati, disposizioni pontificie. Tra questi, vi è anche un certificato che ascrive Rivarola alla nobiltà settempedana.
Scritte con un tono assai diretto, impetuoso, vivace, queste lettere sono il prodotto di una penna goffa eppure tagliente, abilissima nel dare libero sfogo agli umori e ai turbamenti di una personalità vulcanica quale fu, appunto, il Rivarola. Immerso nei propri incarichi governativi, menando una vita intensa e tutta dedita al lavoro, egli consegna alla carta le proprie quotidiane emozioni. Si infuria, gioisce, si dispera. Spende soldi e s’indebita, poi piange miseria e reclama, con foga, denari da casa; vagheggia onori e promozioni, e intanto schernisce i potenti della Curia romana; impreca contro il generale «Buona Parte» e contro i francesi, per i quali invoca il castigo divino in cielo e, in terra, la morte violenta per mano del pio popolo marchigiano. E infine scruta, con occhio attento e curioso, i mutamenti del panorama politico europeo.
Insomma, il pregio delle lettere settempedane di Rivarola è quello di consegnarci un ritratto intenso del loro autore; esse accompagnano il lettore odierno attraverso la sua vicenda umana, religiosa e politica, sino al fatidico 1797, anno in cui egli verrà espulso da San Severino per volontà degli invasori francesi.
Ne emerge il quadro di una società travagliata da mutamenti radicali e profondi: un’età senz’altro tempestosa. E monsignor Rivarola si trovò, spesso e volentieri, proprio nel cuore di quella tempesta, di cui, non a caso, egli reca tutta l’impronta: nelle passioni, nei drammi, nelle inquietudini. Auspicio è che questo testo possa offrire uno stimolo allo studio dell’uomo, del prete, del governatore, offrendo altresì un originale spaccato di San Severino in età napoleonica.

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